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Josep Acebillo

Il Territorio e i nuovi limiti – Visioni su Como
Conferenza a cura dell’arch. Josep Acebillo

Laureato in Architettura all’Università Politecnica della Catalogna, ha insegnato in diverse scuole di Architettura (Barcelona, Yale, Harvard, Singapore) e al momento presso l’Accademia di Mendrisio. Si è occupato di progetti urbanistici per cui ha ricevuto importanti riconoscimenti internazionali. È stato per quasi un trentennio commissionato per le infrastrutture e l’urbanistica della città di Barcellona, diventando poi direttore urbanistico del progetto Olimpico, dell’Agenzia Metropolitana Barcelona Regional e Chief Architect di Barcellona. Dal 2007 ha aperto lo studio di architettura AS office, oggi con sede a Lugano, in collaborazione con l’arch. S. Boskovic Sigon.

CC: Abbiamo chiesto un contributo al progetto di ricerca sul territorio comasco al Prof. Josep Acebillo, urbanista, alla luce dei suoi studi sullo sviluppo della città contemporanea.

JA: Per parlare della situazione attuale della città, è meglio fare una riflessione previa sulla città Moderno Industriale. I parametri contestuali del diciannovesimo secolo sono molto chiari. L’idea del nuovo stato nazione come lo intendiamo oggi, la nascita dell’economia industriale, e l’emergere della tecnologia industriale hanno cambiato il modello urbano.
Oggi viviamo una forte trasformazione socio-economica e politica, l’economia industriale è sostituita da una nuova economia basata sul settore terziario. Lo Stato è in crisi identitaria, con la globalizzazione la forza che aveva un tempo ora è nelle mani delle multinazionali, specialmente dopo la crisi del 2008. Abbiamo vissuto un cambio tecnologico profondissimo, il più importante di sempre, per il modo in cui si fa informazione e si comunica. La città quindi deve cambiare. Bisogna considerarla in maniera più complessa, come un sistema aperto, paragonandola ad un organismo che necessità nutrimenti, energia e informazione, ma che ne produce altrettanti. In questo senso la città funziona metabolicamente.

CC: Ha citato le nuove tecnologie, ci può spiegare in che modo esse influenzano la forma urbana.

JA: Esse sono senz’altro un parametro decisivo per stabilire i nuovi modelli urbani. Gli effetti sono notevoli, non solo sul modo di agire dei singoli ma anche sul territorio. Nel diciottesimo e diciannovesimo secolo la differenza tra lo spazio urbanizzato e spazio rurale dipendeva anche dalla capacità del territorio di annettere o meno sistemi infrastrutturali; essi hanno sempre fatto una selezione del territorio, favorendo quello con buona accessibilità. Oggi, proprio a causa delle nuove tecnologie, questo sistema è superato e possiamo dire che il territorio è più isotropo. Però applicare genericamente nuove tecnologie non è sufficiente. Dobbiamo implementare tecnologie disruptive capaci di promuovere nuove interazioni. Se prima abbiamo parlato della città come processo metabolico, adesso dobbiamo parlare della città come processo socio-tecnologico.

CC: Quali sono le conseguenze di questi fenomeni sul lavoro dell’architetto?

JA: Quanto appena detto obbliga l’architetto urbanista a prendere decisioni oltre il progetto di architettura. Sistema, Infrastruttura e Architettura sono i tre stadi necessari per la definizione di nuove strategie urbane. Negli ultimi trent’anni questa metodologia non è stata sufficientemente praticata.
Prendiamo come esempio l’aeroporto di Osaka, costruito su un’isola artificiale. Riferendoci al processo, qualcuno ha inizialmente deciso che l’aeroporto andasse strategicamente posto nel mare. In un secondo momento qualcun altro ha deciso di costruire un’isola artificiale collegandola alla terra ferma, infine Renzo Piano ha disegnato l’edificio terminal, che basicamente significava disegnarne “il tetto” perché le condizioni contestuali già determinavano il posizionamento e la struttura dell’edificio. Non è possibile progettare un aeroporto diversamente. Oggi ho l’impressione che ci siano pochi architetti che progettano infrastrutture: l’interesse generale è in assoluto rivolto all’aeroporto, inteso come edificio. Nell’arco della storia importanti architetti come Francesco De Giorgio Martini, Palladio, o Thomas Jefferson, hanno interpretato il progetto come sintesi della sequenza Sistema, Infrastruttura, Architettura.

CC: Quali punti dobbiamo ritenere fondamentali per un buon sviluppo di un progetto urbano?

JA: Il punto di partenza preminente è la metodologia legata alla sequenza appena descritta. D’altra parte oggi possiamo applicare nuove tesi. La “frammentazione urbana” è un elemento chiave; una città è possibile suddividerla in un mosaico di piccoli pezzi. Un esempio è quello del progetto del nuovo Convention Center di Barcellona, che da programma risultava essere un edificio troppo grande per la scala urbana di Barcellona. Abbiamo deciso che non era possibile fare un edificio così grande, quindi sono stati fatti vari edifici collegati sotterraneamente, affidati a differenti architetti. In questo caso il disegno dell’infrastruttura ha permesso il frazionamento e la fattibilità del progetto.
D’altra parte una trasformazione urbana potente non implica necessariamente grandi progetti urbani, si può operare partendo da una “agopuntura urbanistica” composta da singoli interventi di scala minore strategicamente localizzati.
Un tema fondamentale nella progettazione urbana attuale è quello del Waterfront. Nel caso di Como difficilmente si può pensare ad una trasformazione urbana rilevante senza considerare dall’inizio la trasformazione del suo Waterfront.

CC: Come pensa che si debba interagire con gli elementi preesistenti, che spesso parlano del passato della città?

JA: Una cosa è mantenere viva l’identità urbana, un’altra diversa è “mummificare” la città. A mio parere il “recycling” è un nuovo parametro di giudizio. Non solo inteso come riuso, ma anche, chimicamente parlando, vanno conservate le caratteristiche costitutive, non solo quelle visibili. Non è un caso che oggi il punto nevralgico oggi di Manhattan sia la nuova High Line, che converte in un giardino lineare una vecchia via ferroviaria obsoleta. La conseguenza diretta di questo progetto urbano che ha reso il contesto vivo è stato il proliferare di attività, giardini, alberghi, abitazioni e uffici.

CC: Nella sua ricerca il tema dei flussi è centrale. In che modo hanno trasformato e trasformano le attività nella città contemporanea?

AJ: La gente va dove sono gli incroci dei flussi. L’urbanista Manuel Sola Morales incontra grande coincidenza tra la struttura dinamica della città ed i suoi angoli. Oggi l’intermodalità va intesa come la nuova centralità urbana. Intorno a una stazione ferroviaria che concentra grandi flussi, può funzionare qualsiasi attività, commerciale, terziaria o residenziale. Cito l’esempio Lille, città diventata più importante in quanto snodo del sistema dell’alta velocità europea. Oggi nei grandi aeroporti (Schiphol, Zurigo, Francoforte) le attività neoterziarie tendono a superare anche economicamente le attività trasportistiche.

CC: Che ruolo ha il trasporto urbano in uno sviluppo urbanistico efficiente?

JA: Questo è un tema critico, in tutte le città e penso anche a Como. Contrariamente a quanto molti sostengono, per me non è conveniente pensare di sopprimere l’automobile. Il problema non risiede nell’automobile, ma nel diossido di carbonio che produce il petrolio che la alimenta come altri elementi di disturbo (rumore, ingombro…). L’elettrificazione del sistema di trasporto e l’uso di nuove tecnologie disruptive come il motore a idrogeno o l’asfalto elettrico risolveranno questi problemi senza eliminare un sistema di trasporto individuale che diventa primordiale in una società dinamica, pur implicando una trasformazione tipologica dell’automobile.
Ma quale deve essere allora il modello di mobilità postindustriale? Classifichiamo come mobilità obbligata quella che una persona compie all’interno della città per andare da casa al lavoro e alla scuola: si è detto che questa vada risolta con sistemi di trasporto pubblici. Così facendo non consideriamo però la mobilità individuale, ovvero il numero di movimenti che una persona fa in una giornata per altri tipi di attività, come vedere un amico, andare al cinema o altro. Questi movimenti non ammettono una mobilità obbligata e collettiva e oggi rappresentano l’80% del totale. È per i movimenti individuali erratici che bisogna trovare dunque nuove soluzioni “trasport on demand” progettando una nuova mobilità discrezionale. In questo senso la nuova matrice di mobilità post-industriale dipende maggiormente da nuove tecnologie disruptive: trasporti ettometrici, nuovi sistemi di parcheggio, nuove tipologie di automobili e di trasporto collettivo (trasporto elettromagnetico).

CC: Che importanza ha lo spazio pubblico nello sviluppo di una città?

JA: Lo spazio pubblico è stato sempre la spina dorsale della città. Prima era uno spazio di teatro, oggi possiamo definirlo come una piattaforma metabolica di flussi e anche come uno spazio per promuovere l’interazione sociale e anche per risolvere i problemi inerenti all’interculturalità. Prendiamo ad esempio il Forum di Barcellona. Quando è stata costruita la nuova piattaforma la abbiamo progettata da un lato come il tetto di una infrastruttura per la depurazione dell’acqua. Dall’altro lato la grande placca fotovoltaica copre buona parte dell’approvigionamento elettrico cittadino, però funziona anche come pergola/balcone che permette ai cittadini di ammirare il mare in condizioni ottimali.
Quando parliamo dello spazio pubblico oggi lo intendiamo anche come il miglior elemento in grado di aiutare a creare sinergie positive tra diverse culture. Il Millenium Park di Chicago, il Forum di Barcellona, La Federation Square di Melbourne e l’Highline di Manhattan ne sono esempi di questa nuova complessità dello spazio pubblico urbano.

CC: Che ruolo ha l’architettura in questo?

JA: Prima di tutto oggi possiamo parlare di architettura interattiva. L’architettura un tempo non cambiava nel rapporto con chi la utilizza, oggi invece sì. L’aspetto funzionale degli edifici è un altro aspetto che è cambiato molto negli ultimi anni. Oggi un edificio funziona meglio se ibrido, con più funzioni che vivono all’interno dello stesso: questa è la più preziosa scoperta degli ultimi anni. Mischiare qualifica la vita urbana; la promiscuità, che di solito s’intende negativamente, crea una vita sociale e antropologica più intensa e ricca.

CC: La densità di una città cambia il suo modo di funzionare e vivere?

AJ: La densità è uno degli elementi basici che controlla l’intensità di una città, ma è un parametro quantitativo. Possiamo discutere, specialmente in termini economici, se una città debba essere più o meno densa. Urbanisticamente interessa maggiormente il concetto di intensità urbana. Altri parametri, come la compattezza, la porosità, la ibridità funzionale, inserti urbani… sono criteri qualitativi più architettonici che se si sovrappongono alla densità definiscono il carattere del tessuto urbano.
Se confrontiamo Barcellona e Manhattan, vedremo che sono due belle città ugualmente dense, ma molto diverse. Le tipologie edilizie adiacenti e di cornice orizzontale di Barcellona contrastano con l’isolamento e lo skyline variabile di Manhattan. In entrambi i casi riscontriamo due città dense e ma dalle caratteristiche morfologiche completamente diverse. D’altra parte in una città con densità insufficiente non può esserci un buon equilibrio ecologico.

CC: Che scenari dobbiamo immaginarci per il futuro prossimo delle città europee?

JA: I temi trattati fino a ora sono alcuni dei parametri che io considero importanti per definire una nuova urbanistica, non del futuro ma del presente. Il mondo sta già avendo una crisi demografica enorme, tutte le città nordamericane nei prossimi trentacinque anni cresceranno di un 25%, quelle asiatiche del 50-65%, quelle africane del 100%. L’Europa invece perderà popolazione o si manterrà su un livello di crescita intorno allo 1-3%. Si deduce che il modello della città europea per il ventunesimo secolo non avrà nessuna relazione con gli altri. Avremo una città che sarà formata da persone anziane, l’aspettativa di vita si alzerà sempre di più, le persone anziane saranno anche inferme, le città saranno invecchiate, e il tema più scottante sarà la sua sostenibilità economica e sociale e anche il discorso teorico sull’ “eccesso di città” in relazione alla muscolatura socio-economica in divenire. Alcune di queste contraddizioni si manifestano già in città come Venezia.

CC: Che ruolo può e deve avere l’architetto in questo?

JA: C’è una grande domanda di una nuova urbanità, e questo per gli architetti è una grande responsabilità. D’altra parte gli architetti devono studiare di più e immergersi in una cultura più universale e trasversale. Palladio disegnò una villa che si può considerare la prima infrastruttura economica agraria moderna. La forma della Villa è così pensata per essere l’infrastruttura agricola, ma la cupola invece permette di sfruttare la cultura urbana in campagna. Il modello della villa Palladiana non solo ha slanciato il campo Veneto, ma il Palladianismo forma parte della nuova cultura territoriale inglese ed è inoltre la base della fondazione degli Stati Uniti attraverso Thomas Jefferson. Attitudini di questo tipo sono ciò che oggi necessitiamo.

CC: Il territorio comasco ha subito negli ultimi anni importanti trasformazioni socio-economiche e nell’assetto territoriale. Considerando la sua posizione geografica e la sua storia quale potrà essere il ruolo che andrà ad assumere nei prossimi anni?

AJ: Como oggi mi sembra in difficoltà, mentre con tutt’altra facilità s’incamminò verso l’epoca della città industriale moderna.
Oggi sono necessarie infrastrutture che rafforzino il sistema economico e il suo posizionamento geo-politico. Non mi è parso di sentire grandi discussioni sul fatto che l’alta velocità ferroviaria debba o meno passare da Como, se ci debba essere una stazione o no, e come migliorare la connessione con l’aeroporto di Malpensa.
A proposito di Como vorrei parlare inoltre delle affinità elettive: una città funziona bene quando ha altre città vicine, con le quali può instaurare interazioni selettive. Se si tratta di tre città vicine si potrebbe auspicare il principio delle affinità elettive, ossia diversità di interazione per ogni singolo caso. Como-Varese-Lugano sarebbe una buona combinazione territoriale se le relazioni tra loro fossero più solide. Non ci sono collegamenti efficaci, quando invece dovrebbero essere economie complementari: è necessario produrre corridoi fortemente efficienti, e questo oggi non è solamente un problema infrastrutturale “hardware”, ma specialmente una questione di “software” (educazione, programmi, cultura). Il caso interessante a riguardo è quello di Dallas-FortWorth: due città di storia ed economia diversa, distanti solo 35 Km, antitetiche, che insieme non arrivavano a un milione e mezzo di abitanti. Negli anni ‘50 hanno deciso di fare un aeroporto a metà strada: grazie a questa strategia il corridoio è evoluto con un neoterziario così forte da essere oggi una delle zone americane con maggiore reddito procapite.

CC: La città di Como ha perso capacità produttiva, acquisendo visibilità a livello turistico. Che cambiamenti sono necessari fin da subito?

JA: Non solo Como, ma tutte le città hanno perso capacità produttiva, è un sintomo dell’Europa, specialmente del Sud. Come si cambia questa situazione? Una prima soluzione, quasi assiomatica, è stato il turismo. Nel caso di Como, per la sua situazione verso Milano e le Alpi, questa è una opzione comprensibile, ma i nuovi modelli turistici stanno cambiando molto e richiedono una maggiore complessità. Una cosa è pensare al turismo di Como come risposta alla bellezza della sua geografia e tessuto urbano. Un’altra cosa, non alternativa ma complementare, sarebbe pensare ad un turismo meno convenzionale e stabilire politiche per convertire per esempio Como nel grande polo di conventions e congressi della Lombardia. In questo caso le formule non passano solo attraverso l’”urban hardware” (waterfront) ma specialmente per il “software” e concretamente per lo stimolo della “creatività urbana”. Quali sono le condizioni per una città creativa? Il talento, la tolleranza e la tecnologia (TTT) direbbero in Nord America.
Possiamo affermare che Como sia una città di talento (l’Università è un punto chiave), una città tecnologicamente avanzata, con una cittadinanza disponibile e tollerante? Se siamo sicuri di questo possiamo affermare che è possibile perseguire questo obiettivo.

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