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Un manifesto per ritrovare Como


Care Colleghe e Colleghi,

il testo che segue è una mia lettera aperta pubblicata sul quotidiano La Provincia del 11 settembre 2011.
Credo sia corretto condividerla con voi non solo per un confronto di opinioni, ma perché credo che il tema sia di stringente attualità in molte nostre realtà e che la nostra categoria possa assumere un ruolo centrale su questi argomenti con il proprio contributo disciplinare.
Aperto ai vostri suggerimenti critici.

Un cordiale saluto.
Il Presidente Angelo Monti

Costruiamo un manifesto per “Ritrovare Como”

Caro Direttore,

le riflessioni e le denunce di questi anni sullo stato di salute della nostra città non risultano aver prodotto una strategia di marcia verso l’attesa qualità delle trasformazioni dei luoghi.
Proprio per questo, può essere utile costruire un manifesto delle priorità della società civile e dei cittadini, contributo e metro di valutazione dei programmi di chi si candiderà al governo della città. Un tavolo aperto alle tante competenze di chi opera nella società e avverte la necessità di una vera Politica, distante dall’attuale verticismo, dalle tentazioni del “fai da te”, e dai rischi della deriva antipolitica.
Non è un’idea nuova, ma credo che i tempi siano maturi per questo esperimento. Molti segnali lo confermano, a partire dai richiami del mondo imprenditoriale, professionale, sindacale più attento.
L’idea potrebbe evolvere in un grande confronto pubblico, una sorta di Stati Generali sul futuro di Como. Se sarà inevitabile concentrare le poche risorse attorno ai noti nodi aperti ma non risolti, non si potrà, comunque, rinunciare ad un disegno strategico della città.
Così al primo posto dell’ideale manifesto per “Ritrovare Como” metterei la necessità di governare e non subire i mutamenti urbani.
Partirei dal PGT, di fatto rinviato e mai veramente discusso, quando solo un vero processo di ascolto e confronto potrebbe costruire quella democrazia urbana che dà forma all’agire collettivo. Questa città, ricca di spessore intellettuale e culturale, deve anche saper uscire dalla sua dimensione provinciale senza tentazioni per improbabili isole protette ed esclusive.
Alcuni temi sembrano emergere: turismo, cultura, università.
Il rischio è che queste sollecitazioni sfumino in una sorta di ‘mantra’ collettivo in cui le parole assumono una dimensione ‘magica’, con il rischio pressoché garantito di sconfinare nell’ illusione. Vorremmo tutti sapere quale città, quale turismo, quale università, quale cultura.
Personalmente, per esempio, non penso che la nostra città possa replicare funzioni per così dire ‘generaliste’.
Su questi e altri punti nodali, molte istituzioni, categorie e associazioni si sono attivate da tempo e l’ideale manifesto dovrebbe raccoglierne il contributo. Per “rompere il ghiaccio” sottopongo alla discussione due tra le tante possibili azioni.
Candidiamo Como a laboratorio sperimentale nel progetto e nel disegno delle trasformazioni urbane.
Lo si voglia o meno il suolo è risorsa finita e il futuro urbano si giocherà necessariamente su un processo di rigenerazione della città cresciuta dal secondo dopoguerra. Rigenerare significa prima di tutto pensare ad un fondante progetto dello spazio pubblico dei suoi percorsi, piazze e funzioni. Sono convinto che l’imprenditoria più attenta, la professione più responsabile, l’economia più etica siano pronte per questo, consapevoli che luoghi di vera urbanità sono un valore economico.
Una vera urbanistica contrattata non è senza regole né si inventa per legge. Cresce, nell’interesse di tutti, con un progetto pubblico dell’uso delle aree e dei suoi spazi collettivi. Gli strumenti ci sono ed anche aree con caratteristiche idonee per tali scelte a partire dalla Ticosa. E non si deve andare lontano per verificare modelli analoghi, basta analizzare le attuali procedure francesi, tedesche o spagnole.
La seconda proposta è quella di saper individuare luoghi destinati alla promozione e alla incentivazione del lavoro e della professionalità giovanile. Mi piacerebbe pensare a nuovi o recuperati contenitori, pubblici o magari acquisiti dai fondi immobiliari pensionistici, soggetti ad affitti convenzionati a termine e finalizzati al primo inserimento e allo start up dei giovani lavoratori professionisti. Luoghi di lavoro che potrebbero condividere servizi collettivi multidisciplinari, spazi per laboratori e per la ricerca. Sostenere la futura classe intellettuale, al di là di becere diffidenze, non è assistenzialismo ma investimento.
Penso a tutto questo in un disegno urbano integrato al tessuto delle residenze e dei quartieri con positivi effetti di mixitè e rivitalizzazione. Utopia? Io la definirei una ‘fiducia’ sufficientemente ingenua da risultare credibile. Einstein diceva: ‘il futuro mi interessa perché è il luogo dove passerò il resto della vita’. Aggiungerei che non possiamo rischiare, per troppo realismo o individualismo, di lasciarci il futuro alle spalle.

Angelo Monti

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